martedì 23 dicembre 2014

La disinformazione contro gli Anti Euro e il Razzismo alla Rovescia

Certo, ci vuole davvero una gran bella faccia di bronzo a pubblicare articoli disinformativi come questo, a firma di Giacomo Cangi (l'articolo è qui) in cui si scrive "... Prima dell'avvento dell'euro, il tasso d'interesse reale sul debito pubblico dell'Italia era superiore rispetto a quello di oggi".

A quale periodo allude ? Diamo un'occhiata al grafico qui sotto e che documenta l'andamento storico del rendimento reale dei titoli di Stato, cioè  dell'interesse (al netto d'inflazione) con cui vengono remunerati i suddetti titoli. La linea verticale rappresenta la fatidica data del divorzio fra Banca d'Italia/Ministero del Tesoro.

Se il "temerario" Cangi avesse allargato l'orizzonte d'analisi, avrebbe scoperto da solo che prima dello sciagurato "divorzio, il tasso d'interesse reale (al netto dell'inflazione) sui titoli di stato italiano è stato in abbondante territorio negativo.

I dati sono riprodotti qui sotto.
Ebbene è di tutta evidenza l'escalation, subito dopo il c.d. "divorzio" dei tassi d'interessi reali: la spesa per interessi è aumentata di dieci punti in pochissimi anni. Se non bastassero questi dati, vengono in aiuto anche questo link e -per i più "duri" - le parole di Andreatta che in questo articolo scrisse: "Naturalmente la riduzione del signoraggio monetario e i tassi di interesse positivi in termini reali si tradussero rapidamento in un un nuovo grave problema per la politica economica, aumentando il fabbisogno del Tesoro e l'escalation del debito rispetto al prodotto nazionale".

L'opera di propaganda disinformativa degenera poi nel razzismo più bieco e sfrenato quando l'articolista aggiunge: "... Indipendentemente dalla moneta usata, l'Italia è il paese al 69° posto nell' Indice di Percezione della Corruzione 2014, a parità con la Grecia e la Bulgaria".

Anche in questo caso, se il nostro "eroe" avesse approfondito, avrebbe scoperto che

a) Italia e Germania, tra economia sommersa (330 mld. della prima contro i 350 mld. annui della seconda) e mazzette (280 dell'Italia e 250 mld. della Germania) viaggiano su valori pressochè corrispondenti (si legga il riferimento contenuto qui). Recentemente, il giornale tedesco Die Welt ha rincarato la dose, titolando come il livello di corruzione delle aziende tedesche sia quasi analogo a quelle nigeriane  (fonte qui).

Al tafazzismo si aggiungono ulteriori riflessioni: in primo luogo, la magistratura tedesca soggiace al potere politico e di conseguenza è chiaramente manipolabile sulle risultanze istruttorie.

In secondo luogo, che senso ha richiamare l' Indice di Percezione della Corruzione che, oltre a non avere alcuna aderenza con le analisi empiriche obiettive, soffre di scarsa attendibilità metodologica, basando i propri dati sulle interviste fatte agli imprenditori.

Cangi sembra dimenticare la ciliegina sulla torta: l'indice di percezione della corruzione è elaborato dalla Trasparency International, un'organizzazione internazionale no profit finanziata (per ironia della sorte ?) dal settore corporate tedesche, commissione europea e vari ministeri tedeschi (qui trovate la fonte), su cui pesano colossali "conflitti d'interesse" che l'articolista si guarda bene dal mettere in luce.

Scrivere poi che anche fuori dall'euro l'Italia sarebbe sempre il paese della mafia, della camorra e della 'ndrangheta equivale a slogan del tipo "i tedeschi sono tutti nazisti" o "rom ladri" e via dicendo, con l'aggravante del sottinteso "tutti gli italiani ladri, eccetto me".

E questo mi fa schifo (forse) più di loro.

venerdì 28 novembre 2014

La Trappola del Debito per l'Italia: la soluzione è Uscire dall'Euro

Roger Bootle è uno dei miei miti perchè ha una capacità, rara, di sintetizzare analisi economiche rendendole comprensibili anche ai non addetti ai lavori.

Già il 21 settembre scorso, Bootle, amministratore delegato di Capital Economics, aveva dichiarato sul Telegraph: "L'opzione radicale per l'Italia è lasciare l'Euro permettendo alla valuta di indebolirsi e generare un boom di esportazioni, un'inflazione più alta, maggiore gettito fiscale ed un onere del debito più sostenibile ... questa è l'unica strada percorribile".

Ripropongo il suo articolo che trovo di grande attualità.

Nessun paese meglio dell'Italia incarna il malessere economico europeo in corso. Spesso si dice che l'Italia  non possa finire in disgrazia perchè è un paese ricco di bellezze naturali, paesaggistiche, culturali, con città splendide, cibo e vini meravigliosi e uno stile di vita meraviglioso, Ciò nonostante è un paese che non funziona.

Alcuni problemi sono secolari, altri più recenti. Da un contesto di povertà precedente il periodo bellico, l'Italia, negli anni '50 e '60 conobbe una crescita disomogenea ed una crescita dei livelli industrializzazione e di PIL molto rapidi, tanto che nel 1979 l'Italia superò il Regno Unito.

Ai livelli di inflazione sostenuta si accompagnava una moneta debole che garantiva livelli di crescita dell'economia. Poi tutto è iniziato ad andare male. Il Regno Unito ha superato l'Italia nel 1995 e da allora il divario fra le due economie si è acuito.

Se allarghiamo l'orizzonte d'analisi osserviamo che tutti i paesi del G7, fatti salvi Italia e Giappone, hanno superato il livelli di crescita del PIL che godevano prima della Grande Recessione. Il Canada ha più 9 punti sopra del livello del 2008, mentre quello italiano è ancora di nove punti sotto. Vieppiù l'economia si sta contraendo.

Non si tratta di un fulmine a ciel sereno. Da quando l'euro è stato costituito nel 1999, il tasso di crescita medio annuo dell'economia italiana è stata di appena lo 0.3% - in altre parole, quasi nulla.

Intendiamoci, la causa non è interamente imputabile all'euro. C'è un disperato bisogno di riforme, il sistema politico sembra incapace di fornire ciò che è necessario e l'Italia è stata uno dei primi malati della crescita dei mercati emergenti.

Mentre la Germania produce beni ad alta specializzazione, grandi beni di consumo durevoli e macchinari, l'Italia si è specializzata  su una gamma più bassa di beni di consumo, a media specializzazione che la Cina e altri Paesi sono andati a produrre più a buon mercato.

L'Euro, di certo, non ha aiutato perchè, fin da subito, i costi italiani hanno continuato a crescere più rapidamente di quanto accadeva in Germania e nel centro Europa. Questa volta, pero, non c'è stata alcuna possibilità d'intervento sul tasso di cambio e così costi e prezzi italiani sono rimasti a "bocca asciutta".

Certo, il tasso d'inflazione è sceso drasticamente ed ora è leggermente su territorio negativo (a settembre 2014 l'inflazione era infatti a -0,19% nds), Questo dato non sorprende dato che il tasso di disoccupazione raggiunge la soglia del 12,6%.

A differenza di altri paesi periferici, l'Italia non ha fatto molto per ridurre il divario di competitività ed è prevedibile con l'elevata disoccupazione che le retribuzioni ed altri costi inizieranno a calare significativamente, come  accaduto in Spagna, Grecia e Irlanda. Ma se questo accadrà, per rendere i prodotti italiani più competitivi, peggiorerà anche il debito italiano.

Il vero problema finanziario risiede infatti nello stock di debito che, in rapporto al PIL, è aumentato attestandosi a circa il 130%.

Se l'economia ristagna e i prezzi scendono, inevitabilmente il PIL nominale cala peggiorando il rapporto debito/PIL, il che avverrebbe anche se il bilancio, in equilibrio, fosse in grado di arrestare la crescita del debito. 

L'Italia è oggi molto vicino alla situazione che molti economisti chiamano "trappola del debito" che si verifica quando il rapporto del debito aumenta in modo esponenziale.

In questo scenario, l'unica via di fuga è maggiore inflazione o default. Non avendo la gestione di una valuta autonoma, l'Italia è in corsa per un default sovrano.

Spesso si afferma che si tratti di una eventualità impossibile perché gli italiani hanno un alto tasso di risparmio personale e quindi ci sarebbero comunque i fondi per garantire il debito. Si sostiene inoltre che l'Italia, a differenza di Portogallo e Grecia, ha una posizione estera comunque sostenibile con le passività (verso gli stranieri) del 30% del PIL. Ciò significa che il debito italiano è principalmente domestico.

La circostanza che l'Italia non sia un grande debitore su esteo riduce sensibilmente i rischi di una crisi di debito internazionale, che periodicamente colpiscono i mercati emergenti.

Ma ciò non significa sventare una crisi fiscale. Il fatto che gli italiani abbiano un elevato risparmio non garantisce il volontario acquisto di titoli di Stato e l'insostenibilità delle finanze pubbliche implica che ad un certo punto il default sia inevitabile. 

Il debito greco ha dimostrato di poter essere ristrutturato  senza grandi scossoni del sistema finanziario. Questo perché la Grecia è piccola, ma l'Italia no. 

Il mercato italiano dei titoli di Stato è il terzo più grande al mondo dopo quello di Stati Uniti e Giappone. Principalmente sono le banche italiane a detenere grandi stock di debito italiano, sicchè una crisi del debito potrebbe trasformarsi in una crisi bancaria.

Guardando ai tassi d'interesse dei bund tedeschi, i mercati sono ben felici di investire a 10 anni al 2,4% contro l'1,3% del rendimento tedesco. La peculiarità dei mercati è quella di mutare il proprio umore in un batter d'occhio e di passare rapidamente dalla spensieratezza al panico.

Come uscire da tutto questo ? I problemi strutturali non si risolveranno certo in una notte. Il paese necessita di radicali riforme del sistema politico, del suo sistema giudiziario, fiscale e sul tema del lavoro. 

Anche se l'Italia risolvesse tutto questo, sarebbe ancora impantanata sulla questione del debito pubblico.

Come il resto della zona euro, ciò di cui l'Italia ha ora più bisogno è di crescita economica, che verosimilmente potrà realizzarsi attraverso un'azione congiunta audace della BCE/Germania ed un allentamento fiscale

Ma non si può neppure contare su questa eventualità.

L'opzione radicale per l'Italia è abbandonare l'euro e permettere, attraverso una valuta debole, di generare una ripresa delle esportazioni, maggiore inflazione, un recupero del getttito fiscale ed una maggiore sostenibilità dell'onere del debito.  Mi chiedo ancora quanti anni sprecherà l'Italia prima che fra i suoi dirigenti prenda consapevolezza che questa è l'unica strada percorribile.


mercoledì 26 novembre 2014

Napolitano e il "diritto" di Ripensamento

Sto rileggendo in questi minuti, nel corso di una conversazione FB, le dichiarazioni di voto di Giorgio Napolitano, il 13 dicembre 1978, in merito all'ingresso dell'Italia nello SME.

Sono parole straordinariamente condivisibili, in linea con le conclusioni della più autorevole letteratura scientifica economica e che offrono una lettura di sorprendentemente attuale rivelatrice di  una perfetta conoscenza dei meccanismi dell'attuale crisi.

Parlando della discussione maturata attorno al progetto di Unione Monetaria (all'epoca lo SME) dichiarava "... Nella fase finale, sono affiorate e prevalse forzature di varia natura, venute da una parte sola, cioè da color che hanno premuto per l'ingresso immediato dell'Italia nell'Unione Monetaria

Pressioni viziate da schemi o calcoli che prescindevano da una valutazione obiettiva dei termini del problema.

Ponemmo il problema delle condizioni in cui l'euro avrebbe potuto nascere come strumento valido e vitale al quale l'Italia avrebbe potuto aderire fin dall'inizio.

Quello delle garanzie da conseguire affinché l'euro possa avere successo, favorire un sostanziale riequilibrio all'interno dell'Unione europea... è un rilevante problema politico.

Le esigenze poste da parte italiana non riflettevano solo il nostro interesse nazionale: la preoccupazione espressa dai nostri negoziatori fu quella di dar vita ad un sistema realistico e duraturo in quanto (citando le parole del ministro del tesoro e del governatore della Banca d'Italia) “un suo insuccesso comporterebbe gravi ripercussioni sul funzionamento del sistema monetario internazionale e sulle possibilità di avanzamento della costruzione europea”.

Ma dal vertice è venuta solo la conferma di una resistenza dei Paesi più forti, della Germania, e in particolare della banca centrale tedesca ad assumere impegni effettivi e a sostenere oneri adeguati per un maggiore equilibrio tra gli andamenti delle economie di Paesi della Comunità.

E' così venuto alla luce un equivoco di fondo: se il nuovo sistema debba contribuire a garantire un più intenso sviluppo dei Paesi più deboli della Comunità o debba servire a garantire il Paese più forte ferma restando la politca non espansiva della Germania, spingendo l'Italia alla deflazione

Queste valutazioni sono a noi apparse tali da giustificare .. una scelta che … escludesse l'entrata in vigore dal primo gennaio nell'euro, tanto più in presenza di una analoga decisione della Gran Bretagna (c.d. opting out n.d.s.) con tutto ciò che questa decisione comportava e comporta.

.. noi siamo dinanzi a una … unione monetaria le cui caratteristiche rischiano per lo più di creare gravi problemi ai Paesi più deboli che entrino a farne parte....

Se è vero che le frequenti fluttuazioni dei cambi costituiscono una causa di instabilità, è vero anche che sono il riflesso di profondi squilibri all'interno dei singoli Paesi.

Onorevoli colleghi, in quest'aula si è parlato (vi si è riferito poco fa anche il collega Cicchitto) delle sollecitazioni e delle assicurazioni pervenuteci dai governi amici.

Queste sollecitazioni confermano l'esistenza di un reale e forte interesse degli altri Paesi membri della Comunità ad avere l'Italia al più presto presente nell'euro... .. bisogna sbarazzarsi di ogni residuo di europeismo retorico e di maniera ...

Se oggi, comunque, tra i fautori dell'ingresso immediato circolasse il calcolo di far leva su gravi difficoltà che possono derivare dalla disciplina del nuovo meccanismo di cambio europeo per porre la sinistra ... dinanzi a una sostanziale distorsione della sua linea ispiratrice, dinanzi alla proposta di una politica di deflazione e di rigore a senso unico, diciamo subito che si tratta di un calcolo irresponsabile velleitario”.

E' un'analisi lucida, razionale (Feldstein gli fa un baffo !) condivisibile, rappresentativa  della situazione attuale e che documenta una perfetta conoscenza di tutti i problemi che affrontiamo oggi:

la volontà egemonica della Germania, la conoscenza di significative asimmetrie economiche fra le economie reali, che avrebbero dato luogo alla deflazione per riaggiustare quegli squilibri commerciali che sono alla radice di questa grave crisi economica..

Sarei curioso di sapere quali motivi siano sopravvenuti, da allora ad oggi, per ingenerare in Napolitano questa inversione di rotta... ma forse sarà lavoro per gli storici.

Di qui la mia totale condivisione alle parole di Marco Mori (qui trovate il suo testo integrale) e segnatamente del seguente passo:

"Napolitano dunque è e resta il peggior presidente della storia repubblicana (sacrosanta espressione del legittimo diritto di critica dell'esponente). Mai si era infatti visto un PdR che chiedesse intenzionalmente di cedere la sovranità nazionale a terzi infischiandosene del fatto che, ex art. 1 Cost. detta sovranità appartenga in realtà al popolo.

Inoltre si rammenta che tra i doveri costituzionalmente tutelati di ogni cittadino rientra anche quello di difendere la patria: "La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino" (art. 52 Cost.)

domenica 23 novembre 2014

La Bufala dei Benefici sull' Abolizione dei Rapporti di Cambio

Il preteso "beneficio" dell'abolizione dei rapporti di cambio è una delle tante bufale che circolano per sostenere il sacro dogma dell'Euro.

Sia chiaro: non so voi che lavoro facciate nella vita, nè so quali siano le vostre abitudini di spesa.

Personalmente (e credo di essere fra i tanti italiani che vivono in Italia) sono fra quelli che quando fa la spesa non si reca a Dusseldorf, nè a  Baden-Württemberg per farsi i calli o a Parigi per un taglio di capelli !!

Dunque: che vantaggio avrei ad avere una moneta uguale a quella di altri Stati e che spendo per la maggior parte della mia vita nel paese in cui vivo, abito e lavoro senza che essa rispecchi il reale potere d'acquisto del sistema economico in cui abito ?

L'impatto macroeconomico del risparmio sui costi di transazione derivanti dall'abolizione dei costi di cambio è assolutamente ridicolo.

Lo documentano gli studi commissionati  dalla Commissione europea (per dovere d'informazione li allego qui http://ec.europa.eu/economy_finance/publications/publication7454_en.pdf) che quantificano il beneficio in appena lo 0,4% del PIL europeo e che Eichengreen (http://www.jstor.org/discover/10.2307/2728243?uid=3738296&uid=2&uid=4&sid=21104630423151) ha definito “inadeguato per un progetto così incerto e rischioso”.

Inutile osservare la manifesta conflittualità d'interesse fra lo studio Emerson (che ovviamente gli organi d'informazione si sono ben guardati dal diffondere !) e la Commissione europea che aveva ed ha opposti interessi a “propagandare” i pretesi benefici di una moneta unica fra stati economicamente diversi.

L'abolizione dei costi di cambio non è dunque nelle mani di cittadini globe-trotters, né dei turisti (che non devono affrontare macchinosi o complessi rapporti di conversione di decimali fra le diverse valute con calcolatrici alla mano), ma nei riguardi di chi muove ingenti capitali, che ha ben altri strumenti di protezione dal rischio che non quelli propagandati.



venerdì 21 novembre 2014

L'unica Salvezza per l'Italia è Uscire dall'Euro

Alle volte è bene chiederci come gli altri ci vedono da fuori. Propongo questo articolo del Guardian (il link è qui) che pone senza mezzi termini l'uscita dell'Italia dall'Eurozona come via di salvezza per evitare la catastrofe.

L'Italia si sta dirigendo verso l'uscita dall'euro.

Anche se può sembrare fantasiosa per uno dei membri fondatori di prendere in considerazione di lasciare l'euro, c'è un senso di crescente convinzione che, tra non più di un paio di anni da oggi, Roma sarà ancora una volta amministrata dalla propria moneta.


I dati della scorsa settimana hanno rivelato un paese in profonda crisi. 

Il PIL,  ridotto di quasi il 10 % rispetto a quello della crisi finanziaria, si è bloccato in una profonda depressione.

Tutti gli sforzi per rilanciare l'economia hanno fallito, tale è la natura sclerotica delle sue norme fiscali , i mercati di lavoro e diritto del lavoro che, insieme, hanno impedito il progresso verso un'economia più efficace libera da sussidi e benefici tradizionali .

Nel frattempo, Spagna e l'Irlanda hanno escogitato stratagemmi per far passare le riforme, rafforzarsi e e andare avanti. 

Anche l'economia della Grecia è in crescita, secondo i dati ufficiali più recenti (sebbene dietro quei dati si nascondano profondi squilibri esterni, mia nota).

C'è stato un periodo in cui percettori di reddito medio in Italia non avrebbero mai avrebbero manifestato l'idea di una uscita dell'euro.
 I loro risparmi sono stati tenuti in euro e tutte le loro altre attività , in particolare le loro proprietà , godevano di un valore sicuro (attraverso la valuta comune). Abbandonare l'euro avrebbe significato  un enorme perdita di ricchezza.

Ora la paura sembra essere evaporata. Il Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo ha mutato la sua posizione, a titolo definitivo, dando vita ad una delle opposizioni. 

Il comico - politico sta infatti promuovendo una raccolta firme per realizzare un referendum sull'uscita dall'euro, che ha infranto la promessa di sviluppo, minando il sostegno di Bruxelles e della Banca centrale europea .

Gli italiani hanno atteso tre anni dal capo della Bce Mario Draghi quelle emissioni monetarie che si sono avute con la Banca d' Inghilterra e Federal Reserve . Draghi parla  di fondi da pompare nelle economie in difficoltà della zona euro e la settimana scorsa lo ha fatto di nuovo.

Ma anche quando Draghi effettua una manovra, è improbabile che essa sia efficace. E gli stessi italiani lo sanno di aver bisogno di una svalutazione della moneta (riallineamento del rapporto di cambio dico io) . E' l'unica salvezza. 
I giapponesi lo hanno fatto. 

Non commettere errori , il ritorno alla lira sarà doloroso . Eppure sembra che  gli elettori siano prontia contemplare questa opzione per fermare il declino dell'economia.



venerdì 7 novembre 2014

Caro Sergio Romano Ti Scrivo

Lo confesso: inorridisco all'articolo-risposta con cui Sergio Romano liquida un suo lettore sul tema dell'Euro-exit. .

Preliminarmente non è affatto chiaro l'assunto per cui i sedicenti nostalgici della svalutazione vorrebbero uno Stato che continuasse a spendere in modo dissennato. Chi l'ha mai detto o scritto Romano ?

Secondariamente, sarebbe bene ricordare che la classe politica corrotta e clientelare della 1^ Repubblica rubava sui profitti degli investimenti pubblici, sulle grandezze industriali che creavano ricchezza e competitività.

Quella di oggi, invece, ruba sulle perdite. Diventa così motivo di "virtuosità" per i manager pubblici e privati il taglio di posti di lavoro.

Sergio Romano non ricorda, o evidentemente finge di non ricordare, che - tolta la sovranità monetaria all'Italia (col divorzio Ministero Tesoro-Banca d'Italia), e sottratta la leva valutaria che permetteva svalutazioni e rivalutazioni attraverso gli accordi fissi (SME prima ed Euro poi), restavano solo 2 strumenti per riconquistare la competitività:

a) innalzamento dei tassi d'interesse che, attraendo capitali esteri, sottraevano le risorse agli investimenti e - contemporaneamente - consentivano al paese forte, che non era più obbligato a rivalutare, di abbassare i suoi tassi d'interesse e fare politiche d'investimento in tecnologia innovativa che lo rendevano ancora + forte e competitivo.

b) La riduzione dei salari che tuttavia condannano al suicidio il paese perchè riducono la domanda interna e conseguentemente le risorse per gli investimenti, che restituirebbero la competitività sul piano internazionale.

4. Quanto ai debiti denominati in valuta estera, Sergio Romano evidentemente dimentica che imprese e banche italiane hanno anche CREDITI.

E' bene ricordare che il SETTORE PRIVATO NON BANCARIO ITALIANO è CREDITORE NETTO all'estero per 550 mld., mentre il settore bancario è debitore netto di circa 235 mld..

Certo, le svalutazioni impatterebbero negativamente sugli aggregati crediti e debiti, ma la ritrovata sovranità monetaria obbligherà lo Stato ad INTERVENIRE ALLESTENDO

1) LINEE DI CREDITO AGEVOLATO per le imprese che hanno esposizioni debitorie verso l'estero;
2) POLITICHE FISCALI a loro FAVOREVOLI,
3) LA RICAPITALIZZAZIONE DEL SETTORE BANCARIO e - laddove necessario - LA NAZIONALIZZAZIONE DI QUELLE BANCHE CON MAGGIORE ESPOSIZIONE.

Quello a cui assistiamo oggi è invece la totale svendita a buon mercato di tutto il nostro settore produttivo e bancario ai grandi potentati del Nord Europa e lobbysti a cui non potremo opporci restando nella trappola dell'Euro.

mercoledì 24 settembre 2014

Critica a Stiglitz l'Euro è irriformabile

Ho ascoltato ieri la lectio magistralis del prof. Stiglitz nell'audizione della Camera. Per i più volenterosi questo è il link .

Lo dico subito, senza peli sulla lingua: ho trovato l'intervento di Stiglitz piuttosto modesto che riassumo nei seguenti passaggi:

1) la perdita del capitale umano giovanile, che non trova ingresso nel mondo del lavoro e che è stato compromesso irreversibilmente, quantificato da Stiglitz fra i 30 e 100 trilioni di dollari;

2) l'unico motivo per cui gli USA possano avere una crisi del proprio debito è che, nel lungo periodo, ci sia una prolungata mancanza di elettricità che impedisca ai computer della casa bianca di digitare numeri sul computer";

3) il più grande errore dell'Europa è stato quello di adottare l'Euro (e su questo non credo ci fosse bisogno di scomodare un premio Nobel) e porre dei limiti alla spesa a deficit (senza spiegarne il perchè); ha fatto cenno a Mundell ricordando che l'Europa non era un' unione monetaria ideale perchè non esistevano le condizioni ideali che potessero giustificare l'adozione di un'aggregazione monetaria. Stiglitz ha poi ricordato che anche dopo l'esplosione della crisi in Grecia, non sono stati realizzati quei cambiamenti che sarebbero stati necessari per far funzionare l'euro. Troppo pochi e tardivi.

3) Le riforme strutturali (che in italiano significa realizzare tagli ai salari dei dipendenti) sono IL PROBLEMA non la soluzione (ma va ?!);

4) Se si spende bene a deficit, poi, attraverso il moltiplicatore, si possono solo che migliorare le condizioni economiche.

Peccato che, al riguardo, il prof. Stiglitz abbia omesso di dire che questo effetto si possa dispiegare in presenza di sovranità monetaria, cioè di uno Stato (USA) che abbia la capacità di emettere e controllare l'emissione della moneta.

Già perchè questa prerogativa è oggi in mano alla BCE che "regala" 1500 miliardi a botta alle banche, le quali pagano il danaro allo 0,05% e ogni Stato membro dell'Eurozona, per finanziare la propria spesa pubblica, deve farsi prestare il danaro dalle banche al tasso di mercato. Questo la BCE lo fa utilizzando la sovranità monetaria degli Stati membri.

Ora, dire come fa Stiglitz, che una spesa "efficientata", attraverso il moltiplicatore, non fa altro che migliorare le condizioni economiche è un'imperdonabile errore: uno Stato dell'Eurozona, senza sovranità monetaria, politicamente impossibilitato a ricorrere agli eurobond (obbligazioni di debito pubblico, la cui solvibilità è garantita dagli stessi paesi dell'Eurozona il che significa che i paesi c.d. virtuosi" devono accollarsi gli oneri del debito dei PIIGS, con riflessi sul versante inflazionistico) non può dar vita ad alcun programma di crescita.

Mi ricorda tanto chi ha un esercizio commerciale e ritiene di poter rilanciare la propria attività rivolgendosi ai cravattari.

Dopo pochi mesi s'accorge non solo di non aver saldato i propri debiti, ma di dover rinunciare pure al suo negozio.

La questione Euro è di una semplicità disarmante : è una moneta che non è di nostra proprietà. Per usarla, lo Stato deve indebitarsi coi mercati finanziari (attraverso l'emissione di titoli di stato), i quali pagano, come detto, un modesto "affitto" alla BCE che a sua voltà è di proprietà della Germania, in quanto socio di maggioranza.

La politica dell'azienda produttrice dell'Euro, chiamata BCE, è guidata dagli interessi del socio di maggioranza (Germania) che ne presiede il consiglio di amministrazione.

Se usi una moneta che è tua
1) non puoi manovrare i volumi di massa monetaria,
2) non puoi stabilire il tasso d'interesse,
3) non puoi svalutare per regolare la tua bilancia dei pagamenti,
4) non puoi fare spesa pubblica, secondo le necessità di infrastrutturazione del paese.

In poche parole, non puoi decidere NULLA che riguardi la politica monetaria, fiscale, commericiale e, in generale, economica del paese.

Stiglitz ha insisto sulla pretesa riformabilità dell'Euro, ma per sua stessa ammissione (v. punto 3) i meccanismi di riaggiustamento oltre che tardivi, si sono rivelati pure inefficaci. Voi ci credete ancora ? Io no.

Stiglitz, in quella "lectio magistralis", ha riproposto il contenuto di un suo vecchio articolo, pubblicato su Project Syndacate, in cui disse che l'Euro ha bisogno di maggiore fiscale.

Peccato che non abbia avuto il coraggio di ripetere quanto aveva già dichiarato a Le Nouvel Observateur: "se non lo si può riformare, non credo che sia poi così male tornare alle vostre vecchie monete".

Un inciso che avrebbe avuto sulla platea un impatto dalle proporzioni immani e che lo avrebbe definitivamente consacrato fra gli dei dell'Economia (quella maiuscola, s'intende), in primo luogo perchè avrebbe costretto ad aprire un dibattito sulle ragioni dell'irriformabilità dell'Euro (nato con difetti di fabbrica così gravi da renderne impossibile una sua ristrutturazione) e, secondariamente, sulle ragioni di un ritorno alle valute nazionali.

Un occasione sprecata la sua e la dimostrazione non soltanto di scarsa indipendenza, ma soprattutto di concretezza nell'analisi empirica che altri suoi colleghi hanno dimostrato e lui... no.

Mi sarei aspettato anche qualche parola di censura anche sui demenziali parametri di riaggiustamento degli squilibri macroeconomici, elaborati dalla Commissione europea; dico demenziali perchè quei parametri sono stati dettati nel senso di
1) tollerare surplus commerciali più grandi dei disavanzi (+6% contro il -4%) frutto di quel messaggio ideologico mercantilista per cui chi esporta è bravo, mentre chi importa è un cretino e
2) di permettere a chi è in avanzo di prestare più di quello che i debitori possono prendere in prestito.

Ecco ... mi sarei aspettato che, da un personaggio del calibro di Stiglitz, emergessero queste verità elementari che sembrano inconfessabili, come inconfessabili sembra l'idea che l'Euro sia un progetto irriformabile: per ragioni storico-politiche legate al desiderio di dominio  pangermanico che ha avuto la sua elaborazione teorica in Friedrich Nauman e, a livello economico, in Walther Funk e, soprattutto, nelle ragioni economico-creditorie della Germania, che non ha alcuna intenzione di "socializzare" le perdite e farsi rimborsare in moneta deprezzata.

Questa è la verità che pochi hanno il coraggio di dichiarare. Essere un uomo libero significa poter dire la verità e ieri Stiglitz ha dimostrato di non esserlo.

Nessun accenno poi all'idea che un Paese possa uscire unilateralemente, nè all'unione bancaria.

Sulla base di queste considerazioni, mi è parso persino vacuo e stucchevole - alla fine del suo intervento - quel richiamo al giuramento d'Ippocrate: il malato (l'Eurozona) sta morendo e e se si vuole salvare il salvabile il tumore va estirpato e non geneticamente mutato.

lunedì 8 settembre 2014

Dove Sbagliammo

"Dove sbagliammo". La risposta è complessa e non facile da riassumere in poche righe. Questa crisi ha radici lontane che partono da una vicenda dagli effetti catastrafoci per la nostra economia.

Il "divorzio" Ministero del Tesoro/Banca d'Italia, con tutto rispetto, è stato fatto coi piedi: dal punto di vista politico è stato sottratto al controllo democratico perchè l'operazione non è stata sottoposta ad alcun vaglio democratico del potere parlamentare;

sul lato tecnico, l'operazione fu un'incompiuta poiché – nelle intenzioni di Andreatta - doveva essere accompagnato

1) dalla creazione di un consorzio interbancario per il collocamento del debito pubblico e
2) dalla nuova regolamentazione dello scoperto di c/c di tesoreria,

La mancata attuazione di questi 2 punti ha dato luogo all'ormai nota accelerazione dei rendimenti dei titoli di stato, che ha provocato lo storno degli investimenti produttivi dall'economia reale a quella finanziaria con gli effetti di una drastica riduzione dell'occupazione.

In parole semplici: la profumata remunerazione dei t.d.s. ha scoraggiato gli investimenti produttivi dei ns. imprenditori, che hanno iniziato a scoprirsi Finanzieri (non si perseguiva più il profitto, ma la rendita senza fare alcunchè !) a sfavore dei livelli di occupazione, che iniziarono progressivamente a deteriorarsi.

Non mi piace fare processi alle intenzioni, ma ritengo di poter dire che questo processo non sia stato casuale: Andreatta (pace all'anima sua) aderiva ad un impostazione monetarista, in voga in quegli anni, per effetto della quale

1) la scala mobile impediva il controllo dell'inflazione (idea fasulla)
2) l' indipendenza della Banca d'Italia avrebbe favorito il controllo della moneta (falso) e, secondo i monetaristi, i prezzi e – quindi - si sarebbe potuto avviare quel processo di disinflazione.

Ad Andreatta riconosco l'onestà intellettuale d'aver ammesso che il divorzio sia stato determinante nell'esplosione del debito pubblico causata dagli alti tassi d'interesse, raddoppiati in un decennio (passando dal 6% del 1981 al 12% del 1993 e ricordiamolo - a chi avesse la pazienza di leggere queste note - che dal 1960 al 1980 il rendimento reale medio dei nostri titoli era – 1%).

All'esplosione dei tassi d'interesse che hanno sottratto risorse dall'economia reale, ha fatto da contraltare il crollo del fabbisogno primario (cioè lo Stato ha iniziato ad incassare in imposte e tasse più di quanto spendesse per i suoi cittadini) passando dal +5 al -3%.

Perchè ? Avevamo firmato Maastricht, vincolandoci alla logica del taglio delle spese e dell'aumento della pressione tributaria per fronteggiare il crescente peso degli interessi sul debito.

Il fenomeno tecnicamente è denominato di output-gap cioè di minore crescita dovuta ad una sottoutilizzazione dei fattori della produzione nazionale, dipendente da politiche fiscali restrittive in assenza di esigenze correttive del ciclo economico.

Ma le disgrazie, come è noto, non vengono MAI sole.

All'abbandono della scala mobile, alla catastrofica difesa del cambio della lira da parte di un modestissimo governatore della banca d'Italia divenuto poi Presidente della Repubblica, hanno fatto poi seguito ulteriori tappe:

1)l'abolizione del vincolo di portafoglio (le banche cioè non erano obbligate all'acquisto dei titoli di stato, in rapporto alla percentuale dei depositi) e

2)l'abolizione del massimale sugli impieghi (che rappresentavano una soglia di sbarramento agli incrementi di affidamenti bancari, tali per cui le banche non potevano concedere più credito raggiunta una determinata soglia).

Tutti esempi di erosioni progressive di sovranità e di mancata difesa dei nostri interessi.

A dirla tutta in quell'epoca chi ha tentato di mettere in discussione questa logica è stato pesantemente intimidito. Voglio ricordare che il CESPE (valente centro studi di Bankitalia) azzardò una ricerca con la collaborazione di alcuni elementi della sinistra della DC - lontana proprio ad Andreatta - e fu pesantemente minacciata da Ciampi che telefonò a Berlinguer per stoppare questi tentativi.

Il resto come sapete è storia recente. Era evitabile questo sfracello economico attuale ?

Sì, certo. Leggete la pag. 404 delle memorie di Guido Carli e ricordate la genesi dell'EZ, nata soprattutto per volontà della Francia che soffriva la forte competitività della Germania.
Il patto franco-tedesco avrebbe avuto senso soltanto se l'Italia avesse partecipato all'accordo.

In quegli anni l'Italia rappresentava una seria minaccia industriale per i 2 partner europei. La definitiva rinuncia alla sovranità monetaria è avvenuta non soltanto attraverso il piano di dismissioni (privatizzazioni selvagge) ma con l'accettazione piena ed incondizionata dell'accordo raggiunto fra Kohl e Mitterand.

Illuminante, in questo senso, è la testimonianza di Paolo Baffi che, nella sua posizione d'integrazione dell'Italia nel contesto monetario europeo, sosteneva che il nostro ingresso sarebbe dovuto avvenire con altre modalità, di certo non così affrettatamente come stavano facendo Germania, Francia e Olanda, ma con tempi adeguati che non ci obbligassero ad una prematura rinuncia della leva del cambio, restituendo ai mercati la possibilità di determinazione dei tassi obbligazionari - senza per questo ridurre un Paese alla rovina e, soprattutto, con l'idea che l'autonomia della Banca Centrale non si traducesse in un esautoramento della politica, dando tutto il potere alle grandi banche.

Gli euroscettici di allora non riuscirono in alcun modo ad influire su quelle scelte per la semplice ragione che (vuoi per un motivo vuoi per un altro) furono tolti di mezzo per varie ragioni: da Moro a Paolo Baffi a Federico Caffè ecc.

Ecco dove sbagliammo e se siete riusciti a leggere questo post chilometrico, giuro vi applaudo. :)


sabato 5 luglio 2014

La Mancanza di una Cabina di Regia Europea e la Grande Utopia

Il post su FB di Alberto Forchielli offre spunti molto interessanti sulla questione rifugiati che esamina con grande lucidità nei punti che qui sintetizzo:

1. L'Italia (fonte UNHCR Asylum trends in industrialized countries 2013) è il Paese, fra quelli coi quali  piace confrontarci, che fa meno a favore dei rifugiati: è il 7° paese per numero di ospitalità fra quelli industrializzati, dopo essere stato 11° nel 2012, il 4° nel 2011 e 14° nel 2010. Nel periodo 2009/2013 considerando il PIL pro-capitale, l'Italia ha ospitato complessivamente 3,6 rifiugiati per ogni dollaro di PIL pro-capite contro i 7,5 della Germania, i 7,3 della Francia, i 7 della Turchia, i 6,4 degli USA, i 6,4 degli USa, i 4,5 della Svezia e i 3,7 dell'UK.

2. L'Italia è il paese che per conformazione geografica è maggiormente esposto agli "spettacolari" sbarchi di rifugiati ed ha deciso, con l'operazione Mare Nostrum, di presidiare le proprie coste impedendo ove possibile gli esiti più tragici.

3. Il presidio dei propri confini è la più gelosa delle prerogative restate agli stati nazionali che non hanno neppure mai chiesto l'aiuto per il presidio dei propri confini.

4. Allora - domanda Forchielli - "perchè ripetiamo il mantra che l'Europa ci ha abbandonato ? Non siamo forse noi, sulla base dei dati dell'UNHCR, che abbiamo abbandonato l'Europa o, facciamo assai meno di quanto fanno i nostri pari Europei ?"

Non siamo noi ad aver abbandonato, nè ad essere stati abbandonati dall'Europa. La verità è che l'Unione Europea non ha MAI avuto una "cabina di regia" in grado di articolare una politica sulle immigrazioni, così come sul lavoro o  sulle redistribuzioni fiscali fra paesi "ricchi" e quelli "poveri".

Stanno dunque venendo al pettine anche sul versante della questione rifugiati tutte quelle carenze strutturali che a livello economico abbiamo già sperimentato.

L'Unione Europea non si è mai voluta dotare di un Parlamento con poteri legislativi analoghi a quelli degli Stati nazionali e la Commissione Europea non incarna quel ruolo di Governo federale.

Vengono così chiaramente alla luce le storture abominevoli di una Europa sghemba, frutto di una forzatura prematura e innaturale fra paesi europei la cui diversità storica, geomorfologica, culturale e linguistica è sempre stata d'ostacolo insuperabile alla realizzazione della piena cooperazione, solidarietà ed unione europea.

La matrice multiculturale radicata nell'Europa ha dato luogo in questi secoli a diverse realtà nazionali che non hanno mai trovato quello spirito di sintesi ed unione che invece rinveniamo in altre esperienze continentali come gli USA, ad esempio, nati da un gruppo di colonie britanniche ma che hanno attraversato oltre un secolo di storia ed una feroce guerra civile prima di diventare oggi quello che sono.

Mettiamoci dunque l'anima in pace: non ci sarà una politica comunitaria sui rifugiati, cosè come non ci saranno politiche comunitarie sul lavoro o politiche redistributive perchè difetta all'Europa quella condivisione di caratteristiche etno-culturali propri di una comunità-popolo, ove gli individui possono autoidentificarsi: troppe ancora le barriere (anche linguistiche) per poter dar vita ad un'unica e vera comunità.



mercoledì 2 luglio 2014

La Natura Privatistica e Forzosa della Moneta Euro un curioso paradosso

Trovo su FB questo video in cui il prof. Aldo Giannuli, commentando le caratteristiche facciali di una banconota Euro (nel caso il taglio è di 10 Euro), si ravvisa

  1. la carenza della dicitura "pagabili a vista al portatore",  poichè la BCE non ha una riserva aurea (con cui si lega il valore della moneta ad un rapporto di cambio fisso con il prezioso metallo d'oro);
  2. l'assenza dell'espressione della punibilità degli spacciatori e fabbricanti di moneta falsa e, soprattutto,
  3. l'anomalia del simbolo C di Copyright - per sua natura di diritto privato - apposto accanto alla bandiera dell'Europa riprodotta sulla banconota che, per sua natura, è un istituto di diritto pubblico a corso forzoso che, come tale, deve essere accettata. 


Le considerazioni di cui sopra s'integrano poi sulla qualificazione (privatistica) della natura giuridica della BCE e del conseguente valore privatistico della moneta emessa dal sistema SEBC.

E' bene tuttavia sgombrare il campo da un equivoco che il prof. Giannuli formula nel corso della registrazione video: alla domanda del professore "Qui noi siamo in presenza di una moneta che ha corso forzoso o no ?" la risposta è ASSOLUTAMENTE SI: la natura privatistica della moneta non interferisce sulla natura forzosa e legale dell'Euro !

Quei 10 Euro che esibisce come tutte le banconote che "possono essere emesse dalla BCE o dalle banche centrali nazionali sono le uniche banconote aventi corso legale nell'Unione" (art. 128 Trattato UE).

La qualificazione giuridica del "valore legale della moneta" (Euro) è sancita dalla raccomandazione della Commissione UE (qui) in cui si prescrive non soltanto il potere solutorio della moneta/Euro nell'estinzione delle obbligazioni giuridiche aventi contenuto patrimoniale, ma anche l'obbligo della sua accettazione al pieno valore nominale (benchè essa abbia natura giuridica privata).

L'omessa dicitura della punibilità dei fabbricanti e/o spacciatori di moneta falsa è poi del tutto insignificante perchè la contraffazione e lo spaccio di moneta falsa sono e restano fatti penalmente perseguibili (artt. 453 e 454 cod.pen.).

Una curiosità che mi permetto invece di mettere in luce per effetto del "curioso paradosso" della moneta/Euro che ha natura giuridica privatistica ma valore legale forzoso è che "gli Stati membri non devono proibire nè punire la distruzione integrale di piccole quantità di banconote o di monete in euro compiuta da privati" che la raccomandazione di cui sopra permette e che in uno Stato a moneta sovrana MAI sarebbe stata consentita.

Ma come vedremo questi sono dettagli che sfuggono ai più.



martedì 1 luglio 2014

L'Europa Nemica dell' Orgoglio Italiano

Un manifesto del 1935 invitava la popolazione ad acquistare PRODOTTI ITALIANI a seguito delle sanzioni adottate dal resto d'Europa nei confronti dell'Italia.
Nei primi anni '30, mentre l'onda della grande depressione americana del 1929 si faceva sentire in tutta Europa, fra crolli di titoli azionari e fallimenti di aziende, l'Italia conobbe la nascita dell' Orgoglio italiano".

Si costituì l'IMI, l'IRI, l'INA e nacque il cossiddetto Capitalismo di Stato che fu per anni il fiore all'occhiello della nostra ricostruzione.

L'Italia del periodo prebellico era ancora ad un livello di economia preindustriale se non addirittura agricola ed è proprio in questo momento di grande crisi che Mussolini ebbe l'idea di grande valore propagandistico: modernizzare il paese realizzando un'automobile per tutti: "un'automobile economica per due persone ed un bambino, che raggiunga gli 80 km. l'ora e che non costi più di 5.000 lire".

A quel tempo il modello più economico era la Fiat 508 balilla che costava 10.800 lire. Nel 1936 la FIAT lanciò la Topolino. Nel 1937 presero il via i lavori per la costruzione dello stabilimento di Mirafiori, organizzato in base alle più avanzate esperienze industriali. Inaugurato nel 1939 ospitò 22.000 operai su due turni e su questo indovinato modello d'auto fu in seguito riproddotto in tutte le versioni da furgone e auto sportiva.

Hitler trovò così geniale l'iniziativa che non volendo essere da meno convocò Ferdiand Porsche e gli ordinò di realizzare un auto economica per il popolo che non costasse più di 1.000 marchi; nacque la Volkswagen (macchina del popolo) Maggiolino.

La Fiat provocò con la Topolino l'interesse delle grandi Case Automobilistiche europee e strinse accordi con la NSU tedesca per la fornitura di chassis e la francese SIMCA-FIAT Cinq oltre a costituire in paesi esteri la Polski Fiat e la Fiat England Ltd.  Questo modello ha venduto milioni di esemplari fino agli anni '50.

Questo per dire che anche in momenti bui di crisi volute dal sistema, negli anni '30 come oggi, si può sempre invertire la marcia e risalire velocemente la china. Basta la conoscenza e riscoprire l'Orgoglio di essere italiani perchè a noi italiani non è mai mancata la volontà di FARE.

Ora le auto che circolano per le strade non sono più italiane, neppure la FIAT è più italiana.

L'Europa di prima ed anche l'Europa di oggi chissà come mai è sempre la nostra nemica ...

(Luca Gazzarri)

sabato 28 giugno 2014

Juncker Meister il Calice Amaro dell'Eurozona

Così doveva essere e così è stato. Alla fine i capi di stato e di governo hanno designato come candidato alla Presidenza della Commissione UE Jean Claude Juncker che per lungo tempo è stato premier del Lussemburgo e soprattutto presidente dell'Eurogruppo, in cui convergono i ministri economici dell'Eurozona.

La designazione Juncker, che a metà del mese prossimo sarà ufficialmente ratificata dal Parlamento Europeo, ha trovato ampia convergenza con la sola eccezione della Gran Bretagna (Cameron) e Ungheria (Orban).

E' un'opzione che mi preoccupa perchè Juncker, Juncker Meister, sarà il vero calice amaro dell'Eurozona che nel prossimo quinquennio si sfracellerà come il Titanic contro l'iceberg dell'austerità.

Juncker Meister è celebre per la frase "Prendiamo una decisione, poi la mettiamo sul tavolo e aspettiamo un pò per vedere che succede. Se non provoca proteste nè rivolte, perchè la maggior parte della gente non capisce niente di cosa è stato deciso, andiamo avanti passo dopo passo fino al punto di non ritorno".

Questa è la filosofia del futuro Presidente della Commissione U. E' quel punto di non ritorno che viene immancabilmente spostato sempre più in avanti per conseguire la totale demolizione delle sovranità nazionali e l'accentramento verticistico e referenziale delle politiche economiche e monetarie.

Tutto questo è avvenuto con la complicità del nostro Presidente del Consiglio l'unico a non fare gli interessi della Nazione che dovrebbe rappresentare. Meditate euristi, meditate, bevendo il calice amaro Juncker Meister ... sempre che non se lo scoli prima lui .... per quel suo vizio all'alcol pubblicamente denunciato da un importante organo di stampa tedesco (Der Spiegel qui)

venerdì 27 giugno 2014

La Questione Tedesca e i Giochi di Prestigio

Parlando di Eurozona, emerge anche la Questione Tedesca, nel momento in cui la Germania pretende dagli altri il rispetto di quelle regole che lei per prima non ha rispettato. Si tratta di un metodo pericoloso che alla lunga può innescare conseguenze imprevedebili.

Procediamo con ordine, partendo anzitutto dall' assurdità della regola del 3% (il c.d. Patto di Stabilità) nel rapporto tra il saldo del bilancio pubblico e PIL nei paesi dell'EZ su cui, in questi giorni, Angela Merkel sta aprendo alla possibilita di interpretazioni meno rigide.

Negli anni a cavallo fra il 2002 e il 2003, la Germania - per far fronte alla crescente disoccupazione che aveva raggiunto quasi il 10% - ha avviato un'importante piano di riforma del mercato del lavoro (meglio nota con l'etichetta delle " Riforme Hartz" ) attraverso un aumento di spesa pubblica pari a circa 120 miliardi di Euro, di cui più di 90 furono impegnati in politiche di sostegno all'economia, attraverso sussidi alle imprese.

Una riforma che, è bene ricordare grazie all'intervista di Dierk Hiershel capo del sindacato dei Ver.di. pubblicata qui, si è realizzata attraverso un "magico gioco di prestigio": dal 2000 ad oggi sono stati smantellati 1,5 milioni di posti di lavoro a tempo indeterminato e "ricreati" 3 milioni di lavori part-time. Uno spezzatino per effetto del quale oggi in Germania

  1.  non si lavora più di quanto si facesse 13 anni fa (per il report rinvio qui),
  2. si può lavorare anche per meno di 15 ore settimanali,
  3. senza contributi previdenziali, nè assistenza sanitaria e
  4. con una retribuzione non superiore a 400 Euro.
L'accelerazione verso queste forme di lavoro atipico, che ha dato vita a quasi 5 milioni di mini-job (qui trovate il riferimento) , è trascesa - in alcuni casi estremi - in una vera e propria legalizzazione del lavoro nero, poichè il datore di lavoro licenziava il suo lavoratore a tempo indeterminato e, contemporaneamente lo riassumeva con 2, anche 3 mini-job senza versamento dei contributi previdenziali (poi ci si chiede perchè i costi del lavoro sono diversi ?!): è il caso della catena di drogherie Schleckler accusata di dumping salariale in Germania dal sindacato dei Ver.di e successivamente fallita (anche per la rinuncia a dette pratiche), mettendo a repentaglio 24.000 posti di lavoro.

Questa riforma, che oggi viene oggi invocata finanche dalla BCE, ha 
  1. favorito la crescita dell'export tedesco (che ha registrato + 10% nel triennio immediatamente successivo all'ingresso della riforma Hartz IV),
  2. inevitabilmente ridotto i salari reali tedeschi del 6% e
  3. migliorato la competitività tedesca che, storicamente, gode di di una potente ed articolato apparato industriale, capace di generare surplus strutturali anche con un'eventuale crescita della domanda interna che si baserebbe sia pure parzialmente sulla crescita degli investimenti.
Che cosa è accaduto allora in Germania e dintorni ? Semplice: hanno migliorato la competitività (che significa aumentato le vendite su estero e la produttività), attraverso una riduzione dei salari e dei CLUP (costi del lavoro per ogni unità di prodotto, cui hanno espunto contributi pensionistici, TFR, giusto per intenderci). 

In termini più sintetici, ha realizzato una svalutazione interna, reale, competitiva. Ma non finisce qua perchè nel paese che viene dipinto come modello da imitare, secondo il numero 1 dell'Euro Tower, accanto ai mini-job, si affianca un'altra categoria di lavoratori irregolari cui attinge la GroBe Deutschland: sono quelli della Germania Est, ove il reddito medio di una famiglia è ancora oggi di oltre il 50% inferiore a quello di una famiglia dell'Ovest  (i dati sono qui).

Di qui i tasselli di un mosaico che possiamo comporre assieme: da una parte gli afflussi di capitale "generosamente" affluiti dal Nord Europa verso la periferia che ne ha drogato la crescita e i consumi interni (me ne sono occupato qui); dall'altro, il grande serabatoio di manodopera tedesca reperibile a buon mercato. Ecco il cocktail micidiale che ha causato gli squilibri e la crisi nell'Eurozona.

Queste considerazioni trovano l'avallo dell'ILO, l'International Labour Office delle Nazioni Unite (nel Box 4, pag. 45 qui) che individua nella crescente competitività tedesca (originata dalla caduta dei costi unitari del lavoro in Germania) la causa strutturale  della crisi dell'EZ, avendo messo sotto pressione le economie degli altri  paesi che non hanno potuto supplire alla crisi del mercato interno con un aumento di esportazioni poichè non hanno beneficiato di una più forte domanda aggregata in Germania.

A tale riguardo è significativa l'intervista, pubblicata dal CorSera, a Roland Berger, consulente del governo Merkel, il quale ha dichiarato che le riduzioni salariali ai lavoratori tedeschi hanno comportato la riduzione del 18% dei prezzi dei prodotti; ed è ovvio che riducendosi il livello generale dei prezzi si sia ridotta l'inflazione che, collocandosi al di sotto di quella degli altri partners europei, ha permesso di generare quei saldi commerciali netti, quindi profitti e quindi  quei crediti che sono stati prestati ai paesi dell'Europa del Sud.

Questi sono i dati nudi e crudi, documentati con le analisi ufficiali e sfido ora chiunque a dimostrare il contrario.

mercoledì 25 giugno 2014

Reddito di Cittadinanza e Reddito Minimo Garantito

Se ne parla molto nell'ambito dell'Eurozona nel tentativo di allineare il nostro paese agli standard di altri stati europei ed extraeuropei. Parlo di reddito di cittadinanza sempre più frequentemente confuso con il reddito minimo garantito: le due espressioni vengono ormai disinvoltamente impiegate, lasciando sottintendere un significato pressochè equivalente, quando, in verità, la distinzione cela rilevanti risvolti pratici non soltanto sul piano economico, ma anche sull'assetto sociale che s'aspira raggiungere.

Il reddito minimo garantito è  un vero e proprio ammortizzatore sociale erogato (in forma monetaria o attraverso beni o servizi primari) a persone che, in età lavorativa, si trovano nell'indisponibilità di un lavoro capace di assicurargli un reddito dignitoso, poichè inferiore alla cosiddetta soglia minima di povertà.

La sua commisurazione tiene conto di una serie di parametri subordinati all'accertamento dello stato di bisogno individuale e/o familiare dell'avente diritto e della sua fattiva ricerca di un lavoro.

Si tratta di un sistema di welfare complementare che muove dalla precarietà dilagante, assurta a normale forma della nuova organizzazione del lavoro imposta dal sistema capitalistico moderno, destinata ai percettori di redditi di povertà (salari minimi, precari in condizioni di non lavoro) per "puntellarne" le condizioni di vita assolutamente insufficienti ad assicurare loro un tenore di vita dignitoso.

Il reddito di cittadinanza è invece un reddito monetario incondizionato erogato per effetto della mera appartenenza ad una collettività. E' legato ad uno status (membership), in forza del quale l'individuo diventa sic et sempliciter destinatario di una somma di danaro, corrisposta periodicamente, cumulabile con altre entrate, e che prescinde

  1. da ogni controllo sull'effettivo bisogno e quindi da ogni accertamento sulle sue condizioni economiche e/o familiari,
  2. da ogni esigenza di contropartite. 
Va da sè, sotto questo profilo, che il rifiuto ad un'offerta di lavoro non faccia decadere dal predetto beneficio. 

Ferma restando la possibilità di apportare correttivi a questo secondo profilo, è evidente che mentre il reddito di cittadinanza è un'erogazione monetaria valida per tutti i cittadini, indipendentemente da ogni accertamento sul reddito, patrimonio e occupazione, il reddito minimo garantito rappresenta un sussidio, uno strumento di contrasto alla povertà per chi ha un lavoro, che è incapace di procurargli un reddito adeguato.

Walt Disney, con uno dei suoi intramontabili fumetti, ebbe modo di occuparsi del reddito di cittadinanza, smascherandone attraverso la geniale ironia, il maldestro tentativo di sottrarsi dalle "pene lavorative". 

Del tema se ne occupò anche F. Von Hayeck col dichiarato (e diverso) intento di ".. fornire agli indigenti e agli affamati una qualche forma di aiuto" che, si badi bene, fosse strumentale al ceto possidente, utile cioè a "disinnescare" quegli atti di disperazione pregiudizievoli agli interessi economici delle classi superiori.

La domanda che a questo punto sorge spontanea è: il reddito di cittadinanza è compatibile con gli impegni dello Stato italiano ?

Qualunque sia il punto di osservazione la risposta non può che essere negativa:  il reddito di cittadinanza implica la resa, da parte di qualsiasi istituzione, ad impiegare tutti gli strumenti di politica economica di sostegno - diretto ed indiretto - al pieno impiego, nonchè un espediente utile a evitare il collasso della domanda interna, disciplinando la società a livelli di reddito più bassi.

Dal punto di vista giuridico e costituzionale, il reddito di cittadinanza non trova neppure riscontro nella Carta fondamentale: la Repubblica italiana è fondata sul lavoro (art. 4) ed è compito dello Stato rimuovere ogni ostacolo economico-sociale che si frappone al pieno sviluppo della persona umana, garantendo l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese  (art. 3 comma 2).

Basterebbe già questo ad accantonare l'assurdità di una proposta economicamente insostenibile, acceleratrice di deflazioni salariali.

Il reddito minimo garantito dev'essere tenuto distinto dall'ASPI (Assicurazione Sociale per l'Impiego, sancita dalla riforma del lavoro, come indennità riconosciuta ai lavoratori subordinati che hanno perduto involontariamente l'occupazione - dopo l'inizio del 2013 riconosciuta a coloro che abbiano maturato 2 anni di lavoro e versato almeno 1 anno di contributi - e corrispondente alla vecchia indennità di disoccupazione, spettante ai lavoratori dipendenti espulsi o indebitamente usciti dal processo di lavoro), poichè il reddito minimo garantito viene erogato in presenza di un lavoro e, quindi, a conclusione dell'ASPI e trova maggiori similitudini con l'istituto della Cassa Integrazione Guadagni, ove l'integrazione salariale, da parte dell'INPS o del Ministero del Lavoro, è dovuta alla temporanea sospensione delle attività produttive, causate da crisi economiche, ristrutturazioni o riconversioni aziendali, per effetto delle quali il lavoratore è
  1. sospeso dalle mansioni lavorative, ovvero
  2. impegnato ad orario ridotto.
Va da sè, quindi, che il tema richieda un'attenta e meditata riflessione: dire, come spesso capita di sentire e/o leggere, che l'Italia ignori l'abc dello stato sociale, sia culturalmente arretrata rispetto ad altre Nazioni solo perchè non è dotata di strumenti come il reddito di cittadinanza o di reddito minimo garantito è una grossolana approssimazione.

In altre Nazioni ci sono delle forme aggiuntive come il sussidio di avviamento all'indipendenza, di circa 1000 Euro mensili, concessi a diciottenni che desiderano emanciparsi dalla famiglia d'origine, ma naturalmente non se ne parla.

Se vogliamo dare risposte concrete per arginare il crescente fenomeno delle famiglie che restano senza un reddito, o degli operai che si danno fuoco, non sarà certo scopiazzando formule assistenzialistiche collaudate in altri Paesi, ma restituendo al lavoro quel valore di dignità che oggi è negato per insipiente volontà politica

giovedì 19 giugno 2014

Le Nostre Tasse

Siamo a cavallo di vari adempimenti fiscali: tributi, tasse, imposte, accise sono esercizio del potere d'imperio attraverso il quale, oggi, lo Stato e le sue articolazioni periferiche finanziano l'erogazione dei servizi pubblici.

Sono, più esattamente, prelievi forzosi sugli stock di ricchezze e sui flussi di redditi dei cittadini e rappresentano, accanto all'emissione dei titoli di stato, le risorse in entrata per il bilancio dello Stato.

Lo Stato è dunque parificabile, oggi, ad un padre di famiglia che, per le esigenze di funzionamento del  suo "consorzio", preleva coattivamente dai suoi componenti quelle prestazioni a contenuto patrimoniale necessarie al suo funzionamento.

E' così dalla notte dei tempi, dall'epoca del diritto romano, e ancor di più - oggi - nei 16 paesi dell'Eurozona, in cui le nostre tasse servono a dar danaro allo Stato per finanziare il suo fabbisogno monetario, perchè oggi quei Paesi non possono più spendere, essendosi espropriati della loro moneta.

Già l'idea che lo Stato "spenda" in sè è equivoca: sottende ad una surretizia sottrazione di risorse, impiegate in un settore, con potenziale sacrificio per un altro.

Lo Stato, se è proprietario della moneta, non spende e non crea alcun debito con nessuno dei suoi cittadini. D'altro canto è intuitivo che le tasse con moneta sovrana non possano pagare alcunchè, visto che rappresentano quelle stesse risorse finanziarie precedentemente immesse nella collettività e che, poi, lo Stato si riprende indietro in percentuale inferiore.

Oltretutto, un governo a moneta sovrana, proprietario della moneta, perchè mai dovrebbe complicarsi la vita riprendendosela indietro, per poi rispenderla nuovamente ? .. Fa prima a crearne dell'altra, dato che la moneta, dal 1971, non ha più alcun rapporto con metalli preziosi, circola con "valore fiduciario" ed ha potere solutorio (liberatorio) dei pagamenti, con effetto estintivo di tutti i rapporti economici e patrimoniali.

Le tasse, dunque, a che servono in uno Stato sovrano, proprietario della moneta ? Giuridicamente, è la nostra Costituzione a chiarirne le finalità. Sono un mezzo attraverso il quale  i cittadini concorrono alla spesa pubblica, in ragione della propria capacità contributiva (attitudine economica a produrre reddito e ricchezza) che viene calcolata sulla base di indici diretti (reddito, patrimonio ed incrementi patrimoniali) ed indiretti (consumi,spese e affari) rivelatori di ricchezza.

Questo dovere di partecipazione solidaristica alla spesa è improntato dal costituente su criteri di progressività.

Questo significa che la Costituzione instrada il legislatore ordinario sul piano metodologico di prelievo: la progressività, appunto, che s'ottiene semplicemente attraverso l'applicazione di aliquote marginali superiori a quelle medie, o - se preferite - attraverso un approccio di non regressività del sistema. Ne consegue che il legislatore ordinario resta libero di modellare il sistema di progressivo del sistema tributario nella più totale discrezionalità: sarà una sua scelta puramente politica adottare un criterio di progressività estrema, moderata o attenuata, così come la graduazione delle aliquote o l’introduzione di deduzioni e detrazioni.

Allo stesso modo, i criteri di progressività enunciati dalla Costituzione non impongono neppure l'adozione di aliquote graduate, perché la progressione del prelievo può essere ottenuta anche adottando imposte ad aliquota proporzionale con esenzione alla base e/o un sistema di deduzioni o detrazioni decrescenti al crescere del reddito.

Nei limiti del vincolo costituzionale della progressività, il legislatore potrà "plasmare" il sistema nei metodi e nelle modalità a lui più congeniali.

Dal punto di vista economico, poi, il prelievo tributario è una sottrazione coatta di denaro che viene distrutto.

La tassazione potrà dunque assolvere varie esigenze

  1. tenere a freno il potere economico dei ceti possidenti,
  2. controllare l'inflazione,
  3. orientare i comportamenti di consumo, scoraggiandone taluni e favorendone degli altri.
  4. imporre ai cittadini l'uso della moneta nella regolamentazione giuridica di tutti i suoi rapporti aventi contenuti economico e patrimoniale. Se non esistesse l'obbligo a carico di tutti i cittadini di pagare le tasse con la moneta sovrana di uno Stato, lo Stato perderebbe il suo ruolo di autorità sul consorzio sociale.
Chiedete a chiunque "A cosa servono le tasse ?". Nella migliore delle ipotesi, la risposta sarà "Ad assicurare il fabbisogno monetario necessario al funzionamento dello Stato" che deve far fronte alle spese per la sanità, all'istruzione, alle infrastrutture, alle pensioni, ecc. Questo è ciò che accade attualmente fra i 16 paesi dell'Eurozona.
Nella peggiore delle ipotesi, otterrete la risposta contenuta nella slide.

La verità è un'altra: è impossibile che le vostre tasse finanzino alcunchè: sono soldi che il governo ha precedentemente immesso nella collettività e che POI si riprende indietro in misura inferiore. Se non lo fa è perchè DEVE perseguire quel principio di pareggio di bilancio, per effetto del quale "spende in funzione di quante sono le sue entrate" . Ma così facendo impoverisce il suo consorzio. Se non lo fa, resta sotto il ricatto dei mercati finanziari cui dovrà firmare dei veri e propri "pagherò cambiari" (i suoi titoli di Stato), indebitandosi. E i debiti vanno ripagati, sempre, con l'aggravio degli interessi.





mercoledì 18 giugno 2014

Le regole di un Bravo Skipper

Vorrei parlare di cambi flessibili e cambi rigidi e lo voglio fare, come sto tentando da alcune settimane in  questo blog, in modo del tutto informale, ricorrendo anche a metafore che possano più efficacemente esplicare il funzionamento di meccanismi economici che, se dibattuti in forma accademica, resterebbero riservati nella cerchia degli addetti ai lavori, quindi per quei pochi eletti, muniti di raffinate ed elevate conoscenze teoriche.

Se la conclusione formulata dal prof. Gandolfo "Lancia una moneta in aria e avrai una previsione sul cambio a breve, a medio e talvolta anche lungo termine migliore di quella dei modelli economici" sintetizza, con la mirabile saggezza dei grandi, la possibilità di costruire solo una ragionevole previsione sul segno delle variazioni del cambio, senza tuttavia certezze nè sull'entità, nè, tantomeno, sul loro sentiero dinamico, la soluzione dei cambi flessibili, come scrisse John Meade - parafrasando l'atteggiamento di Churchill verso la democrazia -, è "il peggiore regime di cambio esclusi tutti gli altri".

Perchè allora si invoca il ritorno al cambio flessibile ? in che senso il cambio flessibile resta il peggiore regime di cambio esclusi tutti gli altri ?

Per fare questo vorrei richiamare la metafora del bravo skipper, il timoniere che comanda il suo equipaggio, che regola la tensione di quei cavi in metallo che sorreggono l'albero della barca e che ne determinano la messa in sicurezza, affinchè possa assorbire quelle turbolenze e raffiche improvvise di vento che si possono incontrare durante le andature in mare.

La mancata messa a punto delle sartìè (questo è il termine tecnico) può produrre la deformazione se non addirittura la rottura dell'albero. Di qui la necessità di adoperare tutti gli accorgimenti necessari a scongiurare eccessive flessioni all'indietro, soprattutto delle estremità molto alte degli alberi.

Il sistema dell'Eurozona è congegnato esattamente così: si impone a tutti una rigidità dei cavi (cambi) che toglie quelle capacità

  1. di riassorbimento agli shock esterni (raffiche di vento) che si possono incontrare;
  2. di appianare quelle divergenze strutturali (l'inflazione soprattutto) che, accumulandosi nel tempo, danno luogo a forti asimmetrie economiche.
Oggi per assicurare una direzione di avanzamento della barca a vela, pur di non aggiustare la tensione di quei cavi che garantiscono la stabilità del sistema economico, si decide di far dimagrire l'equipaggio (comprimendo i salari reali dei lavoratori), si buttano a mare salvagenti, sistemi di di emergenza e tutte le provviste che costituiscono la ricchezza del Paese (attraverso la riduzione dei deficit di bilancio). Questo è ciò che sta accadendo.

Come insegna Frenkel "non esiste un regime di cambio che vada bene per ogni Paese in ogni periodo", anche se c'è chi, molto convintamente, sostiene che i benefici dell'integrazione monetaria siano costituiti dalla certezza del cambio, vale a dire dai cambi fissi o moneta unica.

La flessibilità del cambio, nel contesto integrato di politiche di controlli sui movimenti di capitali e di merci atte a scongiurare speculazioni destabilizzanti, sono in grado di restituire maggiore stabilità macroeconomica,  una maggiore efficacia alle manovre di aggiustamento a episodi di turbolenza sui mercati o alle compensazione delle asimmetrie strutturali.

In un contesto come l'attuale in cui i Paesi più deboli non hanno la possibilità di difendersi, i Paesi forti non hanno alcun motivo per mitigare le proprie pretese. Se chi è aggredito è munito di strumenti difensivi potrà più agevolmente stimolare soluzioni cooperative che oggi sono ancora lontane a venire.


martedì 17 giugno 2014

La Grande Tonnara

Non trovo espressione migliore per descrivere il disastro economico economico che si sta perpetrando in questi anni sui paesi deboli dell'Eurozona. Una grande tonnara, come l'azione di pesca che dura diverse ore, in cui le prede vengono catturate a tradimento e fatte entrare nell'ultima camera di rete, denominata camera della morte, in cui avviene la mattanza.

L'adozione di un tasso di cambio nominale fisso, la liberalizzazione dei mercati finanziari e dei movimenti internazionali di capitali rappresentano, infatti, lo scenario economico in cui si consuma l'atroce smantellamento dei diritti economici e sociali delle collettività europee.

L'abolizione del cambio nell'Eurozona ha azzerato i rischi di svalutazione, favorendo un ingente trasferimento di capitali che dal Nord Europa sono affluiti verso i paesi economicamente più arretrati, caratterizzati, almeno nella fase iniziale, da tassi d'interesse più elevati che hanno fatto poi esplodere i debiti privati esteri, all'origine della crisi attuale.

In altra prospettiva, quella che attraversiamo non è semplicemente una crisi di inefficienza di sistema, ma di deficit di partite correnti, che trova la propria origine nelle liberalizzazioni dei flussi di capitali e negli effetti destabilizzanti prodotti sulle economie reali.

Per questo, la radice della crisi è prima di tutto economica e poi finanziaria: è una crisi economica che affonda le sue radici nell'indebitamento privato, nel grave appesantimento di squilibrio delle partite correnti su cui poi si è innestata la speculazione finanziaria.

Attorno alla metà degli anni Ottanta la "forbice" dei tassi d'inflazione era particolarmente aperta fra i paesi dell'Europa: si passava dal 30% del Portogallo al 3% della Germania. A seguito del "processo di convergenza" verso l'Euro le divaricazioni si sono progressivamente assottigliate, per poi riaprirsi nuovamente in occasione dello scoppio dello scoppio della crisi.

Ci piaccia o no la Germania e i Paesi del Nord Europa, hanno violato gli obblighi di coordinamento delle politiche economiche ex art. 5 TFUE e la stessa Commissione europea ha preso atto della pericolosità delle svalutazioni competitive, attivando una procedura di monitoraggio che la penalizza.

Accanto a questi dati, si profila in tutta Europa un'accelerazione della compressione dei diritti economici e sociali che acuiscono disuguaglianze reddituali anche nei riguardi di quei paesi, (v.si Finlandia), che non possiamo certo accusare di inefficienze di sistema.

Anche osservando la dinamica pre-crisi della Francia, noteremmo che - da paese in surplus - è diventata dal 2005 (prima ancora della crisi) importatrice netta di capitali esteri, aggravando così la sua posizione finanziaria sull'estero.

In questo contesto, non è stato casuale l'inserimento nel club dell'EZ di Paesi come l'Italia, Spagna, Grecia, Portogallo, ecc. clamorosamente sprovvisti dei requisiti di ammissione sanciti dal Trattato di Maastricht. Il loro ingresso ha rappresentato
  1. l'occasione per "addomesticare" a proprio vantaggio quei competitor europei a forte esportazione, come era l'Italia nei confronti della Germania,
  2. lo sbocco naturale dei loro prodotti.
Si sono così venuti a profilare, all'interno dell'EZ, due blocchi contrapposti di paesi: quelli a bassa inflazione (capitanati dalla Germania) e quelli ad alta inflazione (Grecia, Portogallo, Spagna su tutti) che hanno progressivamente accresciuto i loro debiti di natura privata. Mentre i primi paesi crescevano per l'afflusso di capitali, i secondi crescevano indebitandosi, peggiorando - progressivamente - la bilancia dei pagamenti, i tassi d'inflazione (che aumentavano) e la competitività.

La Germania, in quanto creditore, aveva ed ha tutto l'interesse a comprimere l'inflazione per non essere rimborsata in moneta "erosa" da svalutazione.

Ma non finisce qua. Al peggioramento del saldo commerciale delle partite correnti, si sono aggiunti gli effetti finanziari della crisi: gli afflussi di capitali sono alimentati ANCHE dalle aspettative di guadagno in conto capitale dei detentori di ricchezze finanziarie (azioni, obbligazioni, ecc.) o reali (immobili) per effetto dell'apprezzameto degli asset posseduti.

Di qui il fenomeno delle bolle speculative, in cui i prezzi s'avvitano in una spirale senza fine e senza più corrispondere al rendimento atteso di lungo termine.

Alla crescita ipertrofica di debito privato, fa da contraltare la contemporanea riduzione dei deficit pubblici, imposti dalle misure d'austerità (tagli alle spese e incremento di pressione fiscale) imposti dall'Europa.

E' questo mix esplosivo che porta all'esplosione della crisi, alla camera della morte sopra accenanta. Il timore di non rientrare più delle proprie esposizioni debitorie, determina il blocco degli afflussi di capitali basati anche sui fondati timori d'insolvenza sovrana, espropriati attraverso la moneta unica della possibilità di farvi fronte.

L'Euro è un gran pasticcio... per tutti, non solo per l'Italia (tarlata dagli atavici problemi d'inefficienza) che, come sosteneva Paolo  Baffi, avrebbe dovuto entrare in Europa (sicuramente diversa da quella attuale), con tempi adeguati alla sua situazione economica, senza rinunciare prematuramente alla leva del cambio.