martedì 17 giugno 2014

La Grande Tonnara

Non trovo espressione migliore per descrivere il disastro economico economico che si sta perpetrando in questi anni sui paesi deboli dell'Eurozona. Una grande tonnara, come l'azione di pesca che dura diverse ore, in cui le prede vengono catturate a tradimento e fatte entrare nell'ultima camera di rete, denominata camera della morte, in cui avviene la mattanza.

L'adozione di un tasso di cambio nominale fisso, la liberalizzazione dei mercati finanziari e dei movimenti internazionali di capitali rappresentano, infatti, lo scenario economico in cui si consuma l'atroce smantellamento dei diritti economici e sociali delle collettività europee.

L'abolizione del cambio nell'Eurozona ha azzerato i rischi di svalutazione, favorendo un ingente trasferimento di capitali che dal Nord Europa sono affluiti verso i paesi economicamente più arretrati, caratterizzati, almeno nella fase iniziale, da tassi d'interesse più elevati che hanno fatto poi esplodere i debiti privati esteri, all'origine della crisi attuale.

In altra prospettiva, quella che attraversiamo non è semplicemente una crisi di inefficienza di sistema, ma di deficit di partite correnti, che trova la propria origine nelle liberalizzazioni dei flussi di capitali e negli effetti destabilizzanti prodotti sulle economie reali.

Per questo, la radice della crisi è prima di tutto economica e poi finanziaria: è una crisi economica che affonda le sue radici nell'indebitamento privato, nel grave appesantimento di squilibrio delle partite correnti su cui poi si è innestata la speculazione finanziaria.

Attorno alla metà degli anni Ottanta la "forbice" dei tassi d'inflazione era particolarmente aperta fra i paesi dell'Europa: si passava dal 30% del Portogallo al 3% della Germania. A seguito del "processo di convergenza" verso l'Euro le divaricazioni si sono progressivamente assottigliate, per poi riaprirsi nuovamente in occasione dello scoppio dello scoppio della crisi.

Ci piaccia o no la Germania e i Paesi del Nord Europa, hanno violato gli obblighi di coordinamento delle politiche economiche ex art. 5 TFUE e la stessa Commissione europea ha preso atto della pericolosità delle svalutazioni competitive, attivando una procedura di monitoraggio che la penalizza.

Accanto a questi dati, si profila in tutta Europa un'accelerazione della compressione dei diritti economici e sociali che acuiscono disuguaglianze reddituali anche nei riguardi di quei paesi, (v.si Finlandia), che non possiamo certo accusare di inefficienze di sistema.

Anche osservando la dinamica pre-crisi della Francia, noteremmo che - da paese in surplus - è diventata dal 2005 (prima ancora della crisi) importatrice netta di capitali esteri, aggravando così la sua posizione finanziaria sull'estero.

In questo contesto, non è stato casuale l'inserimento nel club dell'EZ di Paesi come l'Italia, Spagna, Grecia, Portogallo, ecc. clamorosamente sprovvisti dei requisiti di ammissione sanciti dal Trattato di Maastricht. Il loro ingresso ha rappresentato
  1. l'occasione per "addomesticare" a proprio vantaggio quei competitor europei a forte esportazione, come era l'Italia nei confronti della Germania,
  2. lo sbocco naturale dei loro prodotti.
Si sono così venuti a profilare, all'interno dell'EZ, due blocchi contrapposti di paesi: quelli a bassa inflazione (capitanati dalla Germania) e quelli ad alta inflazione (Grecia, Portogallo, Spagna su tutti) che hanno progressivamente accresciuto i loro debiti di natura privata. Mentre i primi paesi crescevano per l'afflusso di capitali, i secondi crescevano indebitandosi, peggiorando - progressivamente - la bilancia dei pagamenti, i tassi d'inflazione (che aumentavano) e la competitività.

La Germania, in quanto creditore, aveva ed ha tutto l'interesse a comprimere l'inflazione per non essere rimborsata in moneta "erosa" da svalutazione.

Ma non finisce qua. Al peggioramento del saldo commerciale delle partite correnti, si sono aggiunti gli effetti finanziari della crisi: gli afflussi di capitali sono alimentati ANCHE dalle aspettative di guadagno in conto capitale dei detentori di ricchezze finanziarie (azioni, obbligazioni, ecc.) o reali (immobili) per effetto dell'apprezzameto degli asset posseduti.

Di qui il fenomeno delle bolle speculative, in cui i prezzi s'avvitano in una spirale senza fine e senza più corrispondere al rendimento atteso di lungo termine.

Alla crescita ipertrofica di debito privato, fa da contraltare la contemporanea riduzione dei deficit pubblici, imposti dalle misure d'austerità (tagli alle spese e incremento di pressione fiscale) imposti dall'Europa.

E' questo mix esplosivo che porta all'esplosione della crisi, alla camera della morte sopra accenanta. Il timore di non rientrare più delle proprie esposizioni debitorie, determina il blocco degli afflussi di capitali basati anche sui fondati timori d'insolvenza sovrana, espropriati attraverso la moneta unica della possibilità di farvi fronte.

L'Euro è un gran pasticcio... per tutti, non solo per l'Italia (tarlata dagli atavici problemi d'inefficienza) che, come sosteneva Paolo  Baffi, avrebbe dovuto entrare in Europa (sicuramente diversa da quella attuale), con tempi adeguati alla sua situazione economica, senza rinunciare prematuramente alla leva del cambio.


1 commento:

  1. Mentre stiamo parlando dell'euro è già pronta la moneta unica mondiale.benvenuti nel NWO!

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