martedì 10 giugno 2014

Scacciavillani e la Manopola del Volume

Fabio Scacciavillani, capo economista di fondi d'investimenti dell'Oman, si diletta, di tanto in tanto, a catturare magicamente l'attenzione di fans e followers dispensando in rete "pillole di saggezza" che mirano non soltanto a "cannonare" chi propone il ritorno alla lira e alla sovranità monetaria (qui la gustosissima storify di Claudio Borghi), ma che sovvertono anche i più elementari princìpi di economia politica.

E' il tweet qui incorniciato, ove il nostro investitore omanita s'ascrive fra i negazionisti di quel legame fra disoccupazione ed inflazione (tema a lui particolarmente caro), di cristallina evidenza ai tanti che la sperimentano sulla propria pelle;  in ambito macro-economico va sotto il nome di Curva di Phillips, ma  per il nostro economista senza turbante si risolve, evidentemente, in una manopola del volume di qualche apparecchio elettronico prodotto dall' "omonima" (?) azienda olandese.

Non occorrono master, specializzazioni varie o altre amenità per sconfessare una simile corbelleria che, fra le tante che circolano, contribuiscono ad inquinare il mare magnum dell'informazione.

E' evidente, in un contesto come l'attuale dominato da forte disoccupazione, che più sono i lavoratori disponibili, più un imprenditore potrà selezionare le richieste di assunzione, offrire e quindi "spuntare" salari più bassi. E' la più semplice e banale legge della domanda e della offerta, tale per cui la disoccupazione altro non è che un esubero di lavoratori non assorbiti dal mercato del lavoro.

Quindi se come oggi la disoccupazione sale, i salari si riducono e quindi, con meno redditi da consumare, l'inflazione si riduce.

Disvelato questo segreto, che non possiamo certo annoverare fra quelli di Fatima, emerge, dunque, una esplicita relazione inversa (gli inglesi parlano di trade-off, costo/opportunità), di lungo periodo, tra inflazione e disoccupazione. Ne consegue che quando l'inflazione è elevata (perchè aumenta l'indice generale dei prezzi dato che i lavoratori hanno redditi da consumare), avremo un riassorbimento della disoccupazione e viceversa.

Questo, beninteso, non significa escludere equilibri di breve periodo caratterizzati da disoccupazione, nell'ambito dei quali possano essere adottate politiche di gestione della domanda aggregata che riconducano al descritto risultato.

Ciò che preme qui rilevare è la descrizione di quel rapporto inverso fra inflazione e disoccupazione messo in luce nella sua formulazione originaria (e poi ripreso da Samuelson e Solow) per effetto del quale è possibile far "funzionare" un'economia a condizione che si accetti una crescita generalizzata dei prezzi e dunque dell'inflazione.

Le critiche, formulate negli anni Settanta dagli economisti neoclassici sull'asserita inefficacia del modello, allorchè molti paesi sperimentarono simultaneamente elevata disoccupazione ed inflazione, furono in realtà frutto di erronea interpretazione fenomenica: gli andamenti inflattivi sono infatti condizionati non già da un eccesso di moneta (come ipotizzato da Friedman & C.),  ma da diversi elementi che concorrono a formare i prezzi (dinamiche delle materie prime, all'epoca il petrolio), di cui la retribuzione della forza lavoro è una variabile certamente rilevante, ma non certo unica, nè determinate in contesti macro-economici di forti variazioni degli altri costi).

Questi concetti sono noti al nostro Scacciavillani: la ragione è perchè mentire ? Ricerca di analisi stravaganti. Io glielo domando qua. Ai posteri l'ardua sentenza ;)

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